Avere una brutta natura è un viaggio nervoso intorno al malcostume dello stare al mondo, vizio di noi vivi che da sempre abbiamo le manie di protagonismo. La natura è brutta e noi ci facciamo i conti continuamente, annaspando per rimanere dritti.
Un varietà, questo, e tuttavia, tutto storto come recita il sottotitolo perché solo l’errore ci tiene a galla a noialtri nervosi. Qui la stortura è una scelta profondissima: storti come la natura stessa che non ammette correzioni, con una nostra precisa zoppia interna procediamo dispettosamente a testimoniare il desiderio di essere altro, di poter andare, di poter giocare a mettere in discussione questo tempo veloce che non tiene conto di quasi niente di quello che ci interessa per campare. Esserci per fare una piccola azione di sabotaggio.
Così come la vita è dispettosa con noi, noi con lei, e l’occasione diventa ghiotta per provare a innervosire tutto: il presente, le mode, le relazioni, l’inutile cincischiamento del nostro sé e la paccottiglia di cose in cui siamo immersi continuamente. Lo spettacolo è un tentativo di ripensare la forma del varietà classico, un tempo luogo d’elezione dell’intrattenimento, cercando di radicarlo nel presente. Se da una parte si conserva la forma originaria, dall’altra si tenta di farne saltare il meccanismo, a partire dal contenuto per andare via via nel gesto, nella musica, in tutto il fatto scenico. In un presente che declina l’intrattenimento in tutte le forme possibili, la comicità è diventata quasi una persecuzione.
Così questo spettacolo è un invito anche a una certa preoccupazione sotterranea, un uso della risata anche e ancora come forma di fuga dal controllo, come fuoriuscita dal cinismo per andare verso una grazia, quella di chi cerca nonostante tutto di provare a resistere in una differenza.