Un classico come Cappuccetto rosso, su cui si è esercitata una tradizione plurisecolare di letture e interpretazioni, viene riavvicinato da Emanuela Dall’aglio, che firma la regia con Mirto Baliani, in un one-woman-show nel quale riunisce su sé stessa non solo l’interpretazione, ma l’intera architettura visiva dello spettacolo. Fondendo scenografia, costumi, oggetti e animazione in un unico manufatto, quasi un singolare libro pop-up dalle sembianze umane di cui lei stessa è anima nascosta e animatrice, l’artista trasferisce Cappuccetto rosso nelle pieghe nascoste e nelle apparizioni inaspettate di una favola vivente, che si indossa come un abito e viene agita dall’interno come un dramma “portatile”.
Le vicende della bambina che si avventura nel bosco, della nonna che la attende e dell’incontro con il lupo che cambierà il loro destino, nascono tutte da un congegno vivente che è, di volta in volta, artefice e azione, scena e sipario, narratrice e manipolatrice, paesaggio e baracca dei burattini, generando così unitariamente personaggi, azioni, oggetti e colpi di scena. Ambiente e personaggi trovano solidità e compattezza nella particolare matrice che li origina: il bosco, l’emblema di tutte le nostre paure e insicurezze, e la casa della nonna, atteso rifugio che nasconde il più grande dei pericoli sono, nella loro concretezza visiva, parte del manufatto umano, ed è proprio esso che rivela davanti agli occhi degli spettatori, come tante apparizioni, le stazioni della favola.
La natura profonda del rito, concentrazione simbolica dei desideri e dei terrori infantili, trova così una espressione diretta e concreta per immagini e oggetti, quasi una drammaturgia corporea, dove un essere/abito/automa genera come una scatola magica i passaggi e le stazioni del viaggio iniziatico che dovrà superare Cappuccetto rosso. E colui che è stato generato e che si è fatto temuto divoratore, grazie all’intervento risolutore di un finale a sorpresa, genera a sua volta la sua vittima rinata, esemplificando la natura ciclica e di ripetizione del mito e della favola.
Con la stessa passione per la concretezza materica della favola, e giocando sulla ambiguità tra realtà e finzione, il prologo promuove i potenti oggetti simbolici della fiaba, dalle fragole al sasso alla torta, a realissimi reperti di una esposizione che i bambini possono osservare da vicino, alimentando la curiosità dello spettatore, disponendo gli animi alla riflessione sulla natura rituale della favola e rafforzando la convinzione che queste antiche parole hanno qualcosa da dire anche all’infanzia di oggi.