Lo spettacolo andrà in scena alla Casa del Teatro di Faenza (via Oberdan 9/a).
Si ringrazia il Teatro Due Mondi per la collaborazione.
Il nostro martello è in mano a mia figlia è una storia familiare senza tempo. Sarah e Hannah sono due giovani sorelle che si trovano a prendersi cura della bisognosa madre malata dopo che il padre le ha lasciate. La donna, per sopravvivere, si appiglia ai ricordi di tempi migliori che si materializzano nel camioncino del marito e in Vicky, una pecora che l’uomo le aveva regalato e che ora lei tratta non come capo di bestiame ma come animale domestico. Sarah ed Hannah sono molto diverse. L’una assennata e premurosa, l’altra irrequieta ed indipendente. Vivono però la stessa oppressione rispetto alla situazione che le circonda. Entrambe sognano di lasciare la piccola cittadina tra le praterie che le tiene prigioniere. Il dramma familiare presto si tinge di thriller, evolvendosi in un susseguirsi di azioni violente dalle quali è impossibile tornare indietro. Durante la cena di compleanno della madre, una goccia fa traboccare il vaso della sopportazione nei confronti della donna e le due sorelle perpetrano una serie di brutalità sull’indifesa pecora Vicky.
Il testo concede l’opportunità di affrontare temi intramontabili quali la difficoltà dei rapporti familiari e l’incidenza di questi sul destino di un individuo. Tutto quello che si fa appare condizionato e quando lo si fa sembra che qualcuno l’abbia già fatto prima, che ce l’abbia insegnato senza insegnarcelo. Si sviluppa un’analisi sulla ciclicità dei ruoli familiari che vengono tramandati involontariamente di generazione in generazione quasi come patrimonio genetico. Da questi non si esimono le colpe dei padri che condannano inevitabilmente i figli. Nel tentativo di spezzare questa catena, nel testo, si ricorre a un atto estremo e irreparabile. La violenza con cui si decide di affrontare la situazione è un tema più desueto e inquietante. Così inquietante perché più vicino alla nostra natura di quanto effettivamente si voglia ammettere. Per quanto la civilizzazione cerchi di progredire, la brutalità non abbandona l’uomo e si riattiva con impeto e facilità sorprendente. Ancora più interessante è questa violenza di mano femminile. Culturalmente si è meno inclini ad attendersi violenza da una donna, culturalmente una donna è meno incline ad esprimersi con violenza. Questo non vuol dire che le manchi un tratto naturalmente aggressivo. Grazie a questa operazione si coglie l’opportunità di elaborare un aspetto spesso represso e non gestito della personalità femminile.
Hannah e Sarah raccontano la loro storia in una serie di monologhi che si intrecciano e si completano. Il mancato scambio di battute dirette, traduce una reale assenza di comunicazione tra le due o forse è solo quello che vogliono far credere?