I promessi sposi è il romanzo degli italiani per eccellenza, amato, odiato, sorbito da studenti come una medicina amara da prendere perché “fa bene”. Ma Manzoni era distante anni luce da quel signore austero, perennemente di mezz’età, dallo sguardo grave e mesto, che troneggia su ogni libro a lui dedicato.
Ironico e affabile conversatore, nonostante la balbuzie, ambizioso, anche se sempre alla mano, uomo dalle passioni fortissime, reso fragile, durante l’infanzia, dall’abbandono materno e dalla mancanza di un padre, da giovane Alessandro fu ribelle, anticlericale e libertino. Anche la sua famosa conversione non lo trasformò in un bigotto baciapile: la fede, impastandosi con lo spirito illuministico in cui era cresciuto, fu sempre lotta, slatentizzò le crisi di panico che lo accompagnarono per tutta la vita e non spense il fuoco nei confronti delle donne. Spingendolo ancora di più all’impegno politico contro l’oppressore straniero.
Un reading teatrale che racconti un Manzoni dinamico, inquieto, libero, sempre alla ricerca del nuovo e all’avanguardia in ogni campo, lontano dalla figura impolverata che ci è stata tramandata per tradizione, partendo dai tre personaggi femminili più emblematici de I promessi sposi – la Monaca di Monza, Lucia e la madre di Cecilia – e intrecciandoli alle donne della sua vita – Giulia Beccaria ed Enrichetta Blondel. Sullo sfondo un’Italia e un’Europa agitate da moti, rivolte, idee sovversive, cospirazioni e persecuzioni, in un clima di sorveglianza massima, spionaggio scrupoloso e censura assoluta.