Tre donne e due uomini divorati dalla vergogna. Ciascuno di loro vuole vendetta. Cinque storie sul revenge porn, l’abuso attraverso immagini sessuali postate sul web senza il consenso di chi vi è ritratto con l’intento di procurare disagio, di fare del male.
Blush si chiede da dove venga il nostro desiderio di far provare vergogna agli altri. Blush mette in mostra le leggi non scritte riguardo la responsabilità di genere e come la vergogna che proviamo quando non ci sentiamo all’altezza possa diventare violenza.
L’opera è stata un successo al Fringe Festival di Edimburgo e ha poi replicato al Soho Theatre a Londra. Il drammaturgo Charlie Josephine (non binario, a cui riferirsi con lui/loro) racconta così l’ispirazione che l’ha condotto a scrivere il testo: “ho iniziato a scrivere Blush per rabbia. Una rabbia profonda. Rabbia verso gli uomini che agiscono il revenge porn. Ma anche rabbia per il termine revenge porn, che di per sé è estremamente inappropriato. Suggerisce che la vittima abbia fatto qualcosa che merita vendetta. Rabbia verso un sistema legale che è tremendamente lento nel modificare leggi che dovrebbero proteggere le donne. Rabbia per la totale mancanza di educazione sessuale a scuola mentre la pornografia e l’idea dello stupro diventano virali sui telefoni dei nostri figli. Rabbia per l’imbarazzo che provo nell’essere una donna arrabbiata. La rabbia è davvero utile quando è focalizzata nel modo giusto e ho imparato molte cose. Ho imparato che la vergogna cresce nella segretezza e nel silenzio, e il miglior antidoto alla vergogna è l’empatia.”
In uno spazio occupato solo da un elegante divano, che ricorda gli arredamenti dei salotti ottocenteschi, i cinque personaggi – interpretati da un attore e un’attrice – daranno vita a un testo che, partendo da una specie di literary drama, evolve in un sabba infernale dove nessuno si salva e dove il ritmo delle battute e dei personaggi si confonde come in un sogno acido.
Un bad trip senza ritorno.